Vittime: Vicenç Mascarell Peiró
"Ricordo di aver sentito parlare dei bombardamenti di Barcellona fin da quando ero piccolo. Non ricordo la data esatta, però una serie di elementi mi fa datare queste conversazioni agli anni Cinquanta. Fu a conclusione di un pranzo di famiglia, in cui eravao in molti, come sempre. Mia madre iniziò a mostrare diversi album di fotografie. Come in altre occasioni, le immagini passavano di mano in mano. Quealla volta capitò nelle mie mani la fotografia di un militare. Non credo di averla vista prima.” Sono le parole del nipote di quel militare, Ferran Mascarell, ex-assessore regionale alla cultura della Catalogna.
"Chiesi chi era. Mio padre rimase in silenzio, mi parve un lungo e misterioso silenzio. Poi rispose: “È tuo zio Vicenç, mio fratello, che morì durante la guerra, nel bombardamento del Coliseum.” Nessuno aggiunse nulla. Nessuno sapeva uscire dal silenzio che la domanda spontanea di un bambino aveva portato in quel guardare collettivo di fotografie familiari. L’intuizione infantile mi fece capire che quella domanda non era stata opportuna. Nessuno volle continuare la conversazione, nessuno mi volle spiegare chi era quello zio sconosciuto. Probabilmente ancora non avevo preso coscienza che della guerra a casa se ne parlava poco, e a voce bassa. Solo qualche anno dopo intesi che a casa la guerra era sinonimo di morte, esilio e sconfitta.
Con silenzio, quindi, rimasi ad osservare la figura fotografica di quello zio sconosciuto, morto in guerra, un giorno che erano cadute bombe davanti a un cinema di Barcellona. L’immagine mostrava un uomo giovane. Mi ricordava mio padre e gli altri zii, che vedevo vivi e allegri in quel pranzo familiare. Lo zio morto aveva un portamento sicuro, occhi piccoli e svegli, un sorriso accennato che mostrava nel suo volto convinzione e determinazione. La divisa militare sembrava marrone; chiusa sul collo, con quattro grosse tasche sulla giacca; i pantaloni avevano dei grossi sbuffi all’altezza delle cosce. Portava una cintura ampia ai fianchi, senza nessuna arma; una cintura più sottile gli attraversava il torso da destra a sinistra. Sul collo della giacca si notavano le insegne che indicavano il corpo a cui era iscritto. Richiamavano l’attenzione le mani invisibili, per via di due guanti di pelle risvoltati all’altezza del polso. La cosa che mi piaceva più di tutte era però il cappello con la visiera che aveva in testa.
Vicenç Mascarell Peiró.
Per molto tempo non tornai ad osservare quella fotografia. Solo molti anni dopo mi sono soffermato sui dettagli. Era una copia antica, ingiallita, verticale, di 13,2 cm per 8,3 cm. Era attaccata a un cartoncino di pochi millimetri più grande, con un riquadro rossastro. Nella parte inferiore, stampata con lo stesso colore d'inchiostro si poteva leggere "Art-studio París / Burgos (Cid 26), Zaragoza, Madrid". Sulle lettere stampate una nota manoscritta: "Vicenç". Sul retro un'indicazione a penna, scritta con una grafia minuta: “Da consegnare a Juan Colet”, uno zio acquisito che ogni tanto ci visitava o che noi andavamo a visitare in Francia, il suo paese d’esilio, dove si era rifatto una vita. Poco a poco ho cercato piccole informazioni che mi hanno permesso farmi una certa idea –ancora oggi confusa- di quello che il mio padre non mi aveva voluto raccontare. Mio zio Vicenç era morto nell’esplosione della Gran Via in conseguanza dei bombardamenti del marzo 1938. Era soldato e sembra che svolgesse il ruolo di conducente. Conduceva uno di quei camioni che –carichi di esplosivo – attraversava Barcellona per la Gran Via, da Montjuïc a Sant Andreu e che era stato colpito da una bomba dell’aviazione fascista. Anni dopo mio padre mi raccontò che di suo fratello non era rimasto nulla e che l’unica testimonianza della sua morte era un frammento malconcio del portafogli. Ancora oggi non so esattamente cosa accadde.”
Tratto dal prologo di 'Gràcia, temps de bombes, temps de refugis', di Josep M. Contel.
[Ringraziamenti: Ferran Mascarell]